Articolo creato il: 9 Giugno 2020

Cos’è questa storia di Brave?

L'ultimo aggiornamento di questo post è di 2 anni fa

Molti di voi ci hanno chiesto un’opinione o anche solo segnalato la notizia di Brave che sarebbe stata presa con le mani nella marmellata. Questo almeno è quello che passa tra gli appassionati e anche tra chi, come spesso accade, legge solo i titoli della notizia per poi farsene un’idea. In Italia è colpa anche di siti molto seguiti come questo che l’hanno rilanciata con terribili clickbait. Per la cronaca: quello è un sito che contiene, secondo l’app di DuckDuckGo, la bellezza di 312 codici di tracciamento ಥ_ಥ. Cos’è quindi questa storia di Brave e dei referral code?

Andiamo un po’ con ordine, sperando di non farci troppi nemici e di farvi capire qualcosa. Partiamo subito col dirvi una cosa: la notizia che avete letto su Brave, pressoché ovunque, è esagerata e probabilmente anche non del tutto esatta.

Cos’è questa storia di Brave: cosa è successo veramente?

È successo che per chi aveva abilitato nelle impostazioni di Brave i “suggerimenti del completamento automatico” (che sono abilitati di default quando si installa il Browser) quando scriveva nella barra degli indirizzi il dominio binance.us (ed altri) veniva suggerito il sito con un referral code. Veniva presentato come fosse un sito già visitato ma nulla ci impediva di proseguire nella digitazione dell’indirizzo e andare direttamente su binance.us.
Quindi non è vero che ridirezionava il traffico come abbiamo letto pressoché ovunque, bensì suggeriva un link.

Cosa succedeva se si andava su quel link? All’utente in realtà nulla, è un semplice link di affiliazione e chi eventualmente si iscriveva su Binance con quel codice avrebbe portato ‘x’ euro nelle tasche degli autori di Brave. Nient’altro. Nessun danno alla privacy né dati rubati. Questo almeno assicura Eich e, per ora, non c’è motivo di pensare il contrario. L’autore di Brave, infine, dopo vari shitstorming arrivati da un po’ tutte le parti, si scusa per l’errore.

Per farvi un esempio: succede una cosa più o meno simile quando si utilizzano alcuni !bang di DuckDuckGo.
Se andate su DuckDuckGo e scrivete infatti “!a scarpe” cercherete in automatico su Amazon la parola scarpe. Se guardate nella barra degli indirizzi compare &tag=duckduckgo-20. Non c’è nulla di male, è un referral code ed è uno dei modi per guadagnare su internet senza tracciare le persone.
È stato uno sbaglio farlo in quel modo? Sicuramente sì. È stata forse una mossa immorale o in qualche modo scorretta? Probabile.
Era necessario tanto clamore? Probabilmente no.

Questo è quello che è successo, né più né meno. Tutto il resto è clickbait più o meno velato. È il motivo per cui scriviamo questo articolo: in troppi hanno condiviso la notizia in maniera esagerata. Non è sbagliato rilanciare la notizia, è sbagliato rigirarla in questo modo. Le parole sono importanti e dire che Brave reindirizzava gli utenti di nascosto è grave. L’avesse fatto sul serio saremmo i primi a gridare allo scandalo.

Il vero problema di quello che è successo, secondo noi, è che i siti suggeriti non devono essere abilitati di default ma deve essere una scelta dell’utente (ed è quello che è stato infatti cambiato). Questa è la notizia, non presunti redirect segreti e nascosti.

Perché tutte queste vesti stracciate, quindi?

Proviamo allora a capire perché in molti si sono arrabbiati così tanto: a nostro parere è una storia che viene da più “lontano” e che non riguarda solo questa notizia.

Partiamo da qualche presupposto che magari non tutti conoscono: nel mondo Open source e del software libero c’è spesso maretta nei confronti di chi non segue le etichette. Molte volte i progetti nascono da altri progetti (Fork) proprio per malumori interni o per visioni differenti. Chi guarda da fuori, di solito, non ci capisce nulla: spesso esistono decine di progetti uguali tra di loro ma allo stesso tempo diversi.

È così: è il bello e il brutto del software libero. Bello perché è appunto libero (free as in freedom), brutto perché dall’esterno non ci si capisce nulla.

Oltre questo ci sono fanbase più o meno agguerrite. Ad esempio spesso i fan di Firefox dicono “o Firefox o nient’altro” allontanando progetti come Brave. Questi litigi, secondo noi, fanno bene solo a Chrome. Le persone che non seguono queste discussioni sentono troppo rumore di fondo e se ne allontanano preoccupate preferendo la serenità di un progetto duraturo e materno come può essere Google Chrome. L’obiettivo dovrebbe essere la condivisione dei progetti (entrambi si preoccupano della privacy) non continui attacchi su chi è più puro e giusto dell’altro. Un esempio: se andate su forum/gruppi dedicati alla privacy e dite che usate Brave e non Firefox ricevete per lo più insulti.

E questo è uno dei motivi per cui nasce LeAlternative. Spiegare con parole semplici realtà complicate. E suggerire compromessi validi nonostante siano spesso criticati da chi invece è più attento alla purezza del progetto.

Brave e le criptovalute

In tutto questo marasma Brave entra letteralmente in gamba tesa con un Browser decisamente fuori dal comune: il progetto è interamente Open source però ha una idea tutta sua sulla pubblicità online. Vuole proteggere gli utenti da quella invasiva sostituendola con delle sue pubblicità che invece non tracciano l’utente.
È quindi un progetto a scopo di lucro: e qui si accende la prima lampadina. La seconda si accende nel momento in cui Brave partecipa attivamente alle criptovalute creandone una sua con la quale paga gli utenti per vedere i propri annunci.

Non c’è nulla di illegale, però le criptovalute sono sempre un po’ sospette e i progetti intorno ad esse spesso un po’ fumosi. In più Brave pubblicizza molto volentieri siti come eToro che fanno trading online. E nel trading online purtroppo c’è spesso gente che perde molti soldi e che crede nei guadagni facili. Si tratta invece di investimenti ad alto rischio, se non si è esperti del settore la cosa migliore è starne alla larga.

Terza lampadina: uno dei creatori di Brave è Brendan Eich, conosciuto anche per essere l’autore di JavaScript. È stato anche il chief executive di Mozilla fino a quando non si scoprì che nel 2008 fece alcune dlnazioni, circa 3000$, (suoi, non della fondazione Mozilla) per supportare una legge contro i matrimonio gay. In molti nell’ambiente si sono “legati al dito” questa faccenda. Sicuramente è una persona con la quale non usciremmo volentieri a cena, il giudizio su Brave però, deve andare oltre questo e si dovrebbe parlare nel merito della questione senza portarsi dietro rancori verso discutibili opinioni personali. Quel che accade invece su internet, come ben potete immaginare, è l’esatto opposto.

Cos’è questa storia di Brave? Parte di una guerra contro Eich

Insomma tre lampadine (ce ne sono sicuramente altre che non citiamo perché forse meno importanti, come il fatto che il progetto si basi su Chromium) che lasciano a molti diversi dubbi, soprattutto etici più che pratici. Il problema nasce nel momento in cui per propri dubbi personali si cavalcano onde di indignazione per motivi più o meno futili. Brave è infatti un progetto Open source ed il suo codice è pubblico e disponibile per chiunque su GitHub.
Qui viene fuori l’ultimo dubbio nostro: qualcuno guarda davvero i codici ogni tanto? Oppure in molti, cosa più probabile, si sono accorti di questa affiliazione ma non ci hanno visto nulla di male? Perché quel codice sembra sia stato inserito a metà aprile.

Tutto questo per raccontarvi che molta della bile riversata nei confronti di Brave è dovuta, con molta probabilità, a queste tre lampadine e non alla notizia in sé. Quello che fa un po’ sorridere è l’ipocrisia di chi vede in Brave problemi etici e per contrastarlo utilizza metodi decisamente poco etici come clickbait e/o decine di banner con traccianti.

Questo articolo abbiamo voluto scriverlo proprio perché crediamo nell’importanza di non nascondere nulla ma allo stesso tempo di non urlarlo. Raccontare quel che è successo senza (apparenti) scandali cercando di darne un’opinione il più possibile imparziale.

Da parte nostra, nel caso non dovessero uscire ulteriori aggiornamenti, continueremo a proporlo come ottima alternativa a Chrome per i principianti. Rimane sempre Firefox la nostra prima scelta soprattutto per chi ha voglia di smanettare un po’ con le impostazioni. Ma per chi non è capace o non ha voglia di installare plugin, estensioni e modificare strane configurazioni, Brave secondo noi rimane per ora un buon compromesso.

Se apprezzate l’articolo, come sempre, vi chiediamo di condividerlo con chi magari vi ha girato il link sullo “Scandalo di Brave”. Oppure se qualcuno vi chiede: “Cos’è questa storia di Brave?” sapete quale articolo mandargli!

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Di skariko

Autore ed amministratore del progetto web Le Alternative